Le Croci del Tinelli
Viene pubblicato con estremo piacere il seguente inedito del professor Giuliano Sala, ricercatore, storico del territorio del Garda e della Valpolicella e prolifico scrittore (vedasi il suo sito personale). Incuriosito dall’argomento delle croci della Passione, il prof Sala ha ricostruito in questa chiave l’attività dell’artista locale Antonio Tinelli (XVIII secolo), estendendo le conoscenze sull’argomento.
LE CROCI DI ANTONIO TINELLI, LAPICIDA LUBIARESE (1737-1827)
di Giuliano Sala (Costermano, 16 Luglio 2016)
Il segno cruciforme e la croce cristiana
Il tratto cruciforme, determinato nella sua espressione essenziale da due segmenti ortogonali l’uno all’altro che si intersecano, è indubbiamente tra i segni più antichi, universali e trasversali. La sua presenza si riscontra così in ogni luogo, in ogni tempo e cultura, ma, limitandomi ad un’area compresa fra il Monte Baldo e il Lago di Garda, che è l’ambito territoriale di questo intervento, decorazioni a croce, incise o graffite, si trovavano già nei manufatti di argilla cotta, piatti, vasellame, rinvenuti in un villaggio del Medio Bronzo presso il laghetto intermorenico di Cà Nova a Cavaion Veronese e ora conservati presso il locale Museo Archeologico1. Il motivo si ripropone quindi in molteplici variabili nelle incisioni rupestri che segnano le rocce lisciate dallo scivolamento dei ghiacciai sulle propaggini occidentali del Monte Lupia a ridosso del Lago di Garda, tra i Comuni di Garda e Torri del Benaco. Figure che si ripetono per un arco di tempo lunghissimo, collegate ovviamente alla frequentazione dell’uomo, di cui così portano testimonianza pressoché continua dai tempi più remoti ai più recenti (2).
Una diffusione del segno che si spiega innanzitutto nella semplicità del tratto, ma poi nei significanti che gli si riconoscono. Nell’indicare l’orientamento nello spazio (punti cardinali) e nel tempo (equinozi e solstizi); quindi il lato destro e quello sinistro, il sopra e il sotto, la figura umana con le braccia aperte; e ancora nell’uso a definire confini, il tracciato della pianta di una città, la sottoscrizione di un atto da parte di chi analfabeta e quant’altro.
Ma è comunque fuor di dubbio che quanto ebbe a rendere celebre il segno e a moltiplicarne in maniera esponenziale la riproduzione va ricercato poi, nell’adozione della croce a simbolo religioso per i cristiani, anche se questo ebbe a verificarsi relativamente tardi (3). Un’adozione che è naturale richiamo alla morte salvifica di Gesù, appunto, sulla croce e di cui portano testimonianza i Vangeli ortodossi e apocrifi.
L’aspetto tuttavia dello strumento di supplizio doveva essere diverso da come in seguito venne raffigurato negli affreschi delle nostre chiese (4), nelle sculture disseminate sul territorio. La croce doveva consistere più semplicemente in un braccio traversale o patibolo che poggiava su un palo o montante, conficcato nel terreno, per una forma a Tau.
Affresco con Crocifissione presso il santuario della Beata Vergine a Marciaga di Costermano (Paolo Ligozzi, primo sec. XVII)
Ma su una questione di forma non è il caso d’indugiare, piuttosto ci sta una riflessione sulla tradizione evangelica per cui il supplizio di Gesù dovette avvenire proprio sulla croce. Non è che se ne voglia mettere in discussione l’autenticità, tutt’altro, e i Vangeli narrarono quanto in realtà all’epoca accaduto e in sintonia con la realtà storica, a partire dal supplizio della croce comunemente in uso nella giustizia di Roma. Ma nel contempo non ignoriamo la valenza simbolica di cui la croce, nella sua figura, era depositaria prima ancora dell’avvento di Cristo quale espressione di mediazione e, in particolare, di congiunzione fra terra e cielo (5). Per cui la morte di Gesù a redenzione dell’umanità trova amplificazione anche attraverso il simbolismo allo strumento del suo supplizio riconosciuto, nell’enunciato di una mediazione che ricongiunge l’uomo a Dio. In conclusione la croce richiama sì il supplizio infamante, ma, in un’ottica meno superficiale, nella valenza che il linguaggio dei simboli universalmente le attribuisce è innanzitutto percepibile il tramite tra il cielo e la terra, tra il naturale e il soprannaturale, l’umano e il divino.
La croce nella toponomastica
Nella toponomastica medievale e quindi moderna non è infrequente il riscontro del toponimo “Croce”. Così, ad esempio, in un atto di manifestazione di terreni da parte dei conduttori per il monastero veronese di San Zeno, redatto nel lontano 1193, un oliveto a Campo di Brenzone (Vr) è ubicato con l’espressione «ad Crucem» o, ancora, nell’investitura di un arativo in pertinenza di Garda, concessa nel 1278 dalle monache Margherita da Campo e Donella da Sale, procuratrici della Badessa del monastero bresciano di Santa Giulia, il terreno in questione è indicato con la formula «iacet ubi dicitur ad Crucem» (6). I riferimenti, invero, non sono esenti da qualche dubbio interpretativo in quanto si spiegherebbero con la presenza in loco di una Croce ma pure con quella di un crocicchio. Possibilità comunque che non si escludono vicendevolmente, anzi: dove una presenza di croci lapidee è tuttora riscontrabile non di rado questa s’individua nel mezzo o in prossimità di un crocevia (7). Circostanza poi che, come per ogni altra edicola, starebbe ad indicare, oltre l’atto devozionale, una funzione della stessa di tipo segnaletico, ad esempio ad indicare la direzione per un santuario (8) o un confine (9), e, magari, apotropaica. È noto infatti come nell’immaginazione, nelle superstizioni popolari i crocicchi abbiano fama di luoghi speciali: la particolare situazione di incrocio dei cammini ne fa universalmente una sorta di centro del mondo rispetto a colui che lì viene a trovarsi; un luogo epifanico visitato da geni temibili, diavoli e streghe la cui presenza viene allora esorcizzata da obelischi, altari, edicole. Così nel mondo cristiano il reiterarsi ai crocicchi di croci, calvari, statue della Vergine e dei santi assume non soltanto un significato di sacrificio espiatorio, di voto, d’implorazione, ma pure di scongiuro a contrastare, esorcizzare la presenza del maligno che attende il viandante quando l’incrociarsi delle vie naturalmente lo obbliga ad un attimo di sosta, di riflessione, rendendolo così più esposto (10).
La croce cristiana nelle sue espressioni formali
Le croci (11) che si trovano disseminate in ogni parte d’Italia corrispondono sostanzialmente a due tipologie distinte e con differenti finalità. Nel territorio che mi è familiare si ripete lo schema di una croce lapidea del tipo latino, che magari utilizza per basamento una dismessa pietra da macina o il contrappeso di un vecchio torchio in disuso, la cui figura è ideata per portare memoria della passione di Gesù nel momento culminante della crocifissione e suscitare nel contempo l’espressione di un sentimento di pietà. In altre aree la presenza della croce si pone invece nel suo aspetto con l’esplicito intento di catechizzare i cristiani sull’osservanza del precetto che impone l’astensione dal lavoro, ma pure dal semplice divertirsi, nei giorni di domenica e di ogni altra ricorrenza del calendario liturgico. Di conseguenza le croci riconoscibili nella prima tipologia, che definirei “Croci della Passione”, sono prive di ogni altro riferimento in una loro essenziale, diretta testimonianza o portano impressi gli strumenti della passione così come se ne ha tradizione dalle fonti evangeliche (12); le croci assegnabili alla seconda, che in analogia con le particolari raffigurazioni di Gesù, note fra gli storici dell’arte come “Cristo della Domenica”, proporrei di chiamare “Croci della Domenica”, portano invece strumenti di lavoro o di divertimento dove il nesso fra questi e la croce sta proprio nella proposizione che la disattesa al precetto domenicale rinnova all’infinito il martirio di Gesù.
Le Croci della Passione di Antonio Tinelli
Antonio Tinelli, nato nel 1737 nella contrada di Montecchio e lì spentosi nel 1827 alla veneranda età di novant’anni, è indubbiamente il più noto dei lapicidi-scultori di Lubiara (13), all’epoca comune autonomo ed ora frazione di Caprino Veronese. Scultore di talento, produsse pregevoli opere, quali le acquasantiere della nuova chiesa parrocchiale di Caprino o le edicole con le reiterate raffigurazioni della Madonna della Corona (14), ma la sua fama è legata soprattutto alle numerose Croci della Passione che ebbe a scolpire innanzitutto per le locali comunità e quindi, espandendosi la fama delle sue opere, anche su commissione di altre più decentrate quale quella di Colognola ai Colli, nell’est veronese.
In ordine cronologico la prima croce ad essere realizzata, di cui rimane testimonianza, fu quella commissionata dalla comunità di Lubiara e collocata in località Acque sul confine del comune con Caprino e Ceredello. Questa venne ultimata nell’anno 1766 in bianco marmo locale e posizionata su di un basamento, che nell’aspetto avrebbe richiamato il colle del Golgota; sullo stesso un’iscrizione a memoria recita: «commvnitas / lubiarae / ex devotione / f(ecit) / 1766». La croce ripropone l’aspetto tradizionale della cosiddetta Croce latina, distinguendosi comunque per la terminazione dei bracci a trilobi e per le dimensioni ragguardevoli: gradino e basamento misurano complessivamente m. 0,85; il montante, o braccio verticale, poi vi si eleva per m. 3,60, mentre il patibolo, o braccio traversale, si estende per m. 1,80. Ma, più delle dimensioni, quanto attira l’attenzione del viandante, colpisce e commuove sono la ricchezza, l’espressionismo simbolico delle raffigurazioni, scolpite a bassorilievo, ispirate al tema della Passione. Lungo il montante a vista sta una seconda iscrizione, questa di carattere devozionale, tracciata sulla parte inferiore «o crvx / ave / spes / vnica»; quindi si susseguono, dal basso verso l’alto, le raffigurazioni di una scala, di una tunica, di un chiodo, di due lance incrociate, di cui su quella di sinistra è infissa una spugna, del cartello con l’acronimo «i.n.r.i.» e di un calice eucaristico. Lungo il patibolo si collocano, da sinistra a destra, le figure di altri oggetti della Passione quali il flagello, un chiodo, la colonna della flagellazione, la corona di spine, inserita all’incrocio dei bracci e contenente un foro circolare per riporvi le reliquie, un martello, ancora un chiodo ed una tenaglia. Sulla parte retrostante scorre una decorazione lineare a marcare l’andamento della croce, disegnandone di fatto una seconda, interna, mentre nella parte inferiore spiccano le linee di un figura che pare potersi interpretare come un grande fiore a dodici petali. Sull’incrocio dei bracci, infine, in corrispondenza, all’opposto, della corona di spine un motivo a quadrilobo fa da cornice ad un sole raggiato con nel centro lo stesso foro circolare.
L’imponenza, la bellezza, la forza evocativa della scultura dovettero colpire anche il locale conte Giulio Nichesola che ebbe a commissionare al Tinelli la realizzazione di una seconda croce, in tutto identica alla prima (15) e da posizionare in una sua villa a Colognola ai Colli, comune dell’est veronese nel quale il nobile teneva pure vasti possedimenti. Questa venne ultimata nel 1770 e posta all’ingresso dell’oratorio nobiliare dove dovette attirare gli sguardi ammirati della gente del luogo tant’è che la comunità di Colognola ai Colli ne volle una anche per sé. Così, solo dopo due anni, una seconda croce venne realizzata dal Tinelli e posta al centro del paese, da dove venne poi spostata per essere riposizionata presso la chiesa parrocchiale (16).
La già manifesta ammirazione del nobile Nichesola per lo scultore determinò a breve la realizzazione di un’ennesima croce in rosso ammonitico che nel 1773 venne posta sul confine della proprietà familiare in località Chivièl di Caprino. Più modesta nelle dimensioni propone riferimenti più essenziali con gli oggetti della Passione ridotti ai chiodi, alla corona di spine e al cartello, ma è ingentilita da un elegante motivo floreale. Anche questa, all’incrocio dei bracci, presenta il foro circolare, predisposto per contenere delle reliquie.
Croce della Pontara sulla strada che da Ceredello porta a Rivoli Veronese (1768)
L’attività dello scultore dovette essere prolifica e, magari, portare fin dall’inizio anche al costituirsi di una bottega all’interno della quale operassero pure degli allievi e a questa sembrano potersi assegnare, per analogia con le opere autografe, la fattura della Croce della Pontara, sulla via che da Ceredello porta a Rivoli Veronese; della Croce del Gallo, posta in fronte all’Adige a Gaium, frazione di Rivoli Veronese; della Croce di Rubiana di Sotto, all’epoca località del comune di Pesina ed ora incorporata insieme a Pesina nel comune di Caprino.
La prima, dai bracci con terminazioni a trilobi come per la croce delle Acque, reca incisa sul basamento a vista la data 1768 insieme all’iscrizione «comvnita / Ceredel / f(ecit)»; sulla parte inferiore del montante una seconda iscrizione devozionale esprime la venerazione per la croce: «tvam / crvcem / adoramvs / domine». Quindi, a salire e poi sul patibolo, le raffigurazioni dei chiodi, della corona di spine, con al centro il consueto foro circolare per le reliquie, e del cartello coll’acronimo «i.n.r.i.». Sulla parte retrostante una scanalatura segna i contorni di un croce interna su cui l’unica decorazione consiste in un fiore a otto petali e quindi in un quadrilobo in corrispondenza della corona di spine che incornicia un figura forse a forma di stella a nove punte, richiamo in tal caso alla Trinità e al cammino dell’anima verso il cielo (17), o ripetente il motivo della corona.
La croce di Gaium venne realizzata in rosso ammonitico nel 1790 come dichiara l’iscrizione sul basamento: «aere ingentis / nostrae salu[t]is opus 1790»; quindi ripropone le consuete raffigurazioni degli strumenti in riferimento alla Passione (lance incrociate, tunica, tenaglia, martello) cui s’aggiungono soprastanti il patibolo le figure dei dadi, con i quali i soldati di guardia tirarono a sorte la tunica di Gesù, e del gallo, allusione al diniego di Pietro ed al suo pentimento.
La croce di Rubiana di sotto venne scolpita nel 1806, anno che si legge sul basamento insieme alle lettere «a[nno] . d[omini] . f[ecit] . f[ieri]». Le dimensioni sono più modeste e le raffigurazioni degli strumenti della Passione si riducono ai tre chiodi, alla corona di spine ed al cartello; all’interno della corona il consueto foro circolare.
Anche se non documentata con certezza, l’attività del Tinelli dovette coprire un arco di tempo decisamente lungo tant’è che una sua croce, firmata (18), venne scolpita in località Montecchio di Caprino addirittura sul finire del secondo decennio dell’Ottocento, come dichiara l’iscrizione sul secondo basamento, quando il maestro aveva già oltrepassato gli ottant’anni. L’opera, nota come Croce del Gallo, per la sua complessità ed eleganza è considerata il capolavoro dello scultore. Questa si compone di un primo basamento monumentale in nembro rosato, largo m. 4,57 e alto m. 1,60, tripartito in scomparti di cui il centrale propone un’edicola con cornice in biancone a contenere al centro, su lastra ancora in nembro, la figura incisa di un grande fiore a sei petali, inscritto in un cerchio (19); sui lati dell’edicola due eleganti volute in biancone. Quindi un secondo, più modesto basamento trapezoidale, incavato sui lati, largo m. 0,85 e alto m. 0,74, si sovrappone in posizione centrale; sulla parte inferiore è incisa la data «1819», quindi, soprastante e incorniciata da un ovale fogliato, si apre una nicchia a contenere la piccola scultura della Pietà che ripete i modi della celebre scultura quattrocentesca stante presso il santuario della Madonna della Corona a Spiazzi di Monte Baldo. Su questa base si eleva per m. 1,45 la croce con le consuete terminazioni dei bracci a trilobi e su cui stanno scolpiti a bassorilievo i simboli della passione: sul montante, dal basso verso l’alto, scala, tunica, chiodo, lance incrociate, di cui la destra con spugna infissa sulla punta, cartello e calice eucaristico; sul patibolo, da sinistra verso destra, flagello, chiodo, colonna, tenaglia, chiodo e martello; all’incrocio dei bracci, corona di spine con foro circolare per le reliquie, ora otturato. Posato, infine, sulla sommità del montante, il gallo dalla cui presenza la croce prende il nome.
In conclusione le croci del Tinelli o quante assimilabili alla sua maniera e attribuibili alla bottega, cerchia ripropongono tutte l’aspetto tradizionale della Croce latina con il braccio verticale (montante) lungo circa il doppio di quello orizzontale (patibolo) e intersecato da quest’ultimo a circa tre quarti della sua estensione; entrambi i bracci presentano spesso terminazioni a trilobi. La croce poggia sempre su un basamento a forma di colle in un evidente richiamo al Golgota. La faccia a vista sembra non seguire una disposizione precisa, ma piuttosto in relazione al contesto territoriale e su questa vengono scolpiti a bassorilievo i simboli della Passione. Quelli immancabili sono i chiodi, la corona di spine ed il cartello con l’iscrizione «i.n.r.i.»; a questi s’aggiungono, in elaborazioni più complesse, la colonna della flagellazione, il flagello, le lance incrociate, di cui la destra con la spugna conficcata nella punta, la tunica, i dadi, il martello, la tenaglia, la scala della deposizione, il gallo con riferimento al disconoscimento di Gesù da parte dell’apostolo Pietro; occasionalmente compaiono anche motivi floreali. La faccia retrostante ripropone all’interno l’andamento della croce e mostra a volte sporadiche decorazioni. Al centro, infine, delle raffigurazioni della corona di spine si apre un foro circolare, visibile anche sull’opposto nella faccia retrostante, predisposto a contenere reliquie.
I materiali impiegati si riconoscono in pietre locali fra le quali si distinguono il rosso ammonitico o rosso di Verona e il nembro, bianco e rosato.
Note:
1 I resti dell’antico villaggio riemersero nel 1980 in seguito a lavori di bonifica del laghetto, raccontati da una quantità e varietà di materiali raccolti in superficie che ne permisero una datazione attorno alla fine del terzo e l’inizio del secondo millennio a. C. Quindi, grazie all’interessamento, in particolare, di Mario Parolotti, che ne fu anche lo scopritore, e dell’Amministrazione Comunale di Cavaion, sostenuto dall’intervento della Soprintendenza Archeologica del Veneto e della Sezione di Preistoria del Museo Civico di Storia Naturale di Verona, nel 1990 venne predisposto un piccolo spazio espositivo ad accogliere i reperti con funzione pure di museo comprensoriale. Di recente, nell’inverno del 2016, il museo è stato oggetto di una ristrutturazione importante che ne ha affinato gli spazi espositivi, permettendo migliori fruizione da parte dei visitatori e funzionalità all’azione didattica da sempre promossa ed indirizzata alle scuole del territorio.
2 Sull’argomento: F. Gaggia, Graffiti sul Garda, Verona 2002 e bibliografia compresa.
3 «La prima raffigurazione datata della croce su un monumento cristiano si trova in un’iscrizione di Palmira del 134»: G. Heinz-Mohr, Lessico di iconografia cristiana, Milano 1984, p. 128. La tradizionale croce latina compare poi solo all’inizio del V secolo: G. De Cahampeaux – S. Sterckx, I simboli del Medio Evo, Milano 1981, p. 371.
4 Affreschi raffiguranti la Crocifissione si trovano nelle chiese gardesane di San Nicola ad Assenza di Brenzone (1322), di San Pietro in Vincoli a Campo di Brenzone (Giorgio da Riva, 1358), della Santissima Trinità (tardo sec. XIV e di San Giovanni (secondo sec. XV) a Torri del Benaco, di San Vito a Cisano di Bardolino (fine sec. XV), di San Marco a Pai di Torri del Benaco (primo sec. XVI), della Beata Vergine del Soccorso a Marciaga di Costermano (Paolo Ligozzi, primo sec. XVII): G. Sala, La chiesa di San Nicola ad Assenza di Brenzone, «Il Garda. L’ambiente, l’uomo», 1998, pp. 43-54; G. Sala, Gli affreschi del maestro Giorgio da Riva presso l’oratorio di San Pietro in Vincoli a Campo di Brenzone, «El Gremal», 2013, pp. 14-21; G. Sala, Oratori di Torri, Verona 2001, p. 28, tavola II; G. Sala, San Giovanni Battista di Torri del Benaco. Da chiesa ad auditorium, Verona 2006, p. 89; P. Basso, G. Sala, G. Vedovelli, Pitture murali nelle chiese del Garda orientale (sec. IX-XVII), Verona 1992, tavole. 24, 34, 83, 116, 145, 154; G. Sala, Chiese di Pai, Verona 1992, p. 50; G. Sala, Il santuario della Beata Vergine del Soccorso a Marciaga, Verona 2003, p. 28.
5 «Come doppia congiunzione di punti diametralmente opposti, [la croce] è il simbolo dell’unità degli estremi (p. es. cielo e terra), della sintesi e della misura. In essa si congiungono tempo e spazio. È il simbolo più universale della mediazione, del mediatore, molto tempo prima della sua utilizzazione nel linguaggio figurativo cristiano.»: Heinz-Mohr, Lessico…, pp. 127-128. E ancora «La croce è ancora quella figura che congiunge a due a due i punti diametralmente opposti comuni al cerchio e al quadrato inscritto … In essa si riuniscono il cielo e la terra nella maniera più intima possibile …Essa è il cordone ombelicale mai tagliato del cosmo legato al centro d’origine»: de Champeaux – S. Sterckx, I simboli…, pp. 51-52.
6 G. Sala, La presenza del monastero veronese di San Zeno tra l’alto lago di Garda e il monte Baldo, Verona 2012, doc. 3, 1193 gennaio 29, p. 37; Le carte dell’archivio di Santa Giulia di Brescia relative alla Gardesana veronese (1143-1293), a cura di C. Sala, Verona 2001, doc. 42, 1278 giugno 11, p. 65.
7 Restando nel locale la presenza della croce segna i quadrivi in località Le Acque di Caprino Veronese; a Ceredello in prossimità della chiesa di Santa Cristina; all’incrocio delle vie per Costermano, Pesina, Castion e Albaré; in località Sant’Antonio di Pesina; San Martino di Caprino. E di già l’elenco è significativo, ma di certo non esaustivo.
In particolare la croce nei pressi di Santa Cristina di Ceredello, eretta nel 1733, porta graffita sulla parte retrostante una Croce di Malta. Forse si tratterebbe di un indizio atto a indicare la committenza della scultura da parte dei Cavalieri che in zona avevano vasti beni, insieme al possesso, nei secoli XVI e primo XVII, del vicino oratorio del Santo Sepolcro e soprattutto, a partire dal primo Quattrocento, del santuario della Madonna della Corona.
8 È il caso della croce fatta innalzare nel 1753 dal comune di Lubiara in località Anconetta che segnala la via per il santuario della Madonna della Corona a Spiazzi di Monte Baldo.
9 Oltre a quello di definire i confini fra diversi comuni, l’uso del segno della croce era diffuso anche a marcare, inciso su cippi o semplici pietre, i confini fra privati e persino fra stati, ad esempio, fra la Repubblica di Venezia e l’Impero Austriaco, lungo i crinali del Monte Baldo. Per quest’ultimo aspetto: I. Laiti – L. Fasoli, Il Confine fra la Casa d’Austria e la Repubblica di Venezia sul Monte Baldo e nella Val Lagarina, Verona 2011.
10 Sull’argomento: J. Chevalier – A. Gheerbrant, Dizionario dei simboli. Miti sogni costumi gesti forme figure colori numeri, Milano 1986, I, voce “crocicchio”, pp. 351-355.
11 In generale: L. Bertinotti, Le Croci del Mistero. Origine, sviluppo e declino delle Croci della Passione, Pistoia 2015.
12 Matteo, xxvii, 32-56; Marco, xv, 21-41; Luca, xxiii, 26-49; Giovanni xix, 17-37.
13 Sullo scultore e sulla sua attività: Biblioteca Capitolare di Verona, Carte Crosatti, b. 17; L. Franzoni, Antonio Tinelli scultore, «Architetti Verona», anno 4, n. 21, novembre-dicembre 1962, pp. 21-27; V. Cristini, Le crocifissioni e le sculture di Antonio Tinelli, «Il Baldo», n.16, 2005, pp. 78-89; V. S. Gondola, Lo scultore Antonio Tinelli, in L’uomo e il territorio. La Dimora, a cura di G. Armani, Trento 2005, pp.52-53.
14 Le sculture ripetono una celebre Pietà in pietra dipinta, donata dal nobile Lodovico Castelbarco nel 1432 e conservata presso il santuario della Madonna della Corona a Spiazzi di Monte Baldo dove ancor oggi è oggetto di particolare venerazione. Sull’argomento: D. Cervato, La Madonna della Corona. Storia del primo santuario mariano della diocesi di Verona, Verona 2007.
15 Per Virginia Cristini la croce doveva però avere alla sommità anche un piccolo gallo, scolpito a tutto tondo, poi andato distrutto: Cristini, Le crocifissioni…, p. 83.
16 Cristini, Le crocifissioni…, p. 84.
17 Heinz-Mohr, Lessico…, p. 249.
18 Così in Cristini, Le crocifissioni…, p. 86 e in Gondola, Lo scultore…, p. 52. Allo stato attuale, però, io leggo soltanto la data.
19 Il fiore a sei petali inscritto in un cerchio ricorre spessissimo nella simbologia romanica e ve n’è chiara espressione, ad esempio, nella chiesa di San Severo a Bardolino (Vr), incisa sull’echino di un capitello. Il cerchio di per sé è già un segno del soprannaturale, del trascendente, del divino (de Champeaux – Sterckx, I simboli…, pp. 27-29), mentre il significato del fiore inscritto sta nel richiamo al monogramma di Cristo, dato dall’unione delle lettere greche X e P, che forma un segno a sei bracci: Heinz-Mohr, Lessico…, p. 246.